Bellezza pericolosa o bellezza di Dio?

1 07 2007

Ho due impressioni nella mente che mi derivano da due incontri.

Il primo è la recensione alla mostra “Bellezza pericolosa” che si tiene a Napoli e di cui ho letto su Exibart:

“Sfidare la natura, la mortalità, il decadimento fisico, sembra essere diventata l’ossessione della società occidentale contemporanea, popolata da corpi imperfettibili e immortali e da aziende cosmetiche e case di moda che incentivano consumi esasperati facendo leva sul comune senso di inadeguatezza.
L’idea di bellezza si è negli ultimi anni sovvertita e le cause, ma soprattutto le conseguenze di tale cambiamento sono al centro dell’indagine di questa mostra.”

Il secondo è la lettura di alcuni pensieri di Simone Weil sulla bellezza:

“In tutto quello che suscita in noi il sentimento puro ed autentico del bello, c’è realmente la presenza di Dio. C’è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno.
Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile.
Per questo ogni arte di prim’ordine è, per sua essenza, religiosa. (Ecco quello che oggi non si sa più.) Una melodia gregoriana testimonia quanto la morte di un martire.”

“Se il bello è reale presenza di Dio nella materia, se il contatto nel bello è, nel pieno senso della parola, un sacramento, com’è che ci sono tanti esteti perversi? Somiglia forse ciò alla fine delle ostie consacrate dei frequentatori di messe nere? Oppure, più probabilmente, quella gente non si affeziona al bello autentico, ma ad una sua cattiva imitazione? Perché, come c’è un’arte divina, c’è anche un’arte demoniaca. Quella, certo, che Nerone amava. Una grande parte della nostra arte è demoniaca.
(…) Dobbiamo proprio aver commesso delitti che ci hanno resi maledetti se abbiamo potuto perdere tutta la poesia dell’universo.”

Ancora una volta mi viene da pensare a quanto il bello sia sempre più lontano dall’arte contemporanea (una delle opere in mostra, a titolo di esempio, è costituita dai resti della liposuzione subita dalla stessa artista). Troppo spesso l’arte dei nostri giorni non ha neanche più a che fare con l’estetica, con le sensazioni che si provano nel fruire di un’opera. Potrebbe essere, questo, il segno di come il bello stia sparendo anche dalle nostre vite, sostituito da un’ideale pubblicitario della bellezza inarrivabile e menzognero, presentato delle varie modelle che incarnano ideali di volta in volta sempre più artificiosi e artificiali.

Il pericolo di questa deriva della verità della bellezza è tutta in questa mostra, ma ancor più nella nostra quotidianità. Spero in un ritorno delle “belle arti” e in nuovi artisti che sappiano vedere la presenza di Dio nel mondo e restituirla nelle loro opere ad un pubblico ingannato da critici e piccoli artisti che aiutano la deriva della modernità con le loro squallide opere brutte.

* L’immagine (ingrandibile) del post non c’entra niente con la mostra in questione, ma è un’opera di Massimo Campigli che mi piace molto e che fa parte della collezione della Camera dei Deputati.