Religione e attaccamento

30 06 2007

Leggo su Spiritual Seeds di un convegno che si svolge in questi giorni dal titolo “Attaccamento e religione”. “Con il termine attaccamento – dice Rosalinda Cassibba, dell’Università di Bari, all’agenzia Sir – si intende il legame affettivo che un individuo stabilisce con una persona considerata più forte e più saggia: esempio tipico ne è quello tra il bambino e la madre, ma vi possono essere anche persone diverse dalla madre” e, secondo alcuni studiosi, “anche Dio può essere percepito da taluni come ‘figura di attaccamento’”.

A leggere questa notizia mi sono subito venute in mente alcune frasi lette in un libro di Panikkar:

  • Ottenere la gioia umana, questo minimo o massimo, non voglio dire di tranquillità, ma di pienezza, il sentire che si è sulla retta strada e che ci si può veramente riposare nell’essere, tutto questo è possibile solo quando si ha una fede, una fede trascendente: ed è una cosa possibile, anche antropologicamente.
  • …io non posso rendere felice me stesso; con me stesso sono impotente, non posso nulla se non ricevo dal di fuori e non mi apro.
  • Se questa cosa in cui credo non è superiore a me, più forte di me, allora non può sostenere la mia fede e non può salvarmi dal naufragio giornaliero.
  • Qualsiasi oggetto che non sia più forte dell’uomo e superiore a lui non può aiutarlo. E io non posso credere a lungo in una cosa, in quanto più forte di me, se non è veramente più forte di me.

Il tema è molto interessante. Cercherò di informarmi meglio sulla teoria dell’attaccamento e di farmi una opinione in merito.